Un libro, ovvero l’esperienza finita dell’infinito (a proposito di una “Piccola metafisica del libro”)

«Rigiri il libro tra le mani, scorri le frasi del retrocopertina, del risvolto, frasi generiche, che non dicono molto. Meglio così, non c’è discorso che pretenda di sovrapporsi indiscretamente al discorso che il libro dovrà comunicare lui direttamente».

Adami-locandinaRiflette così Italo Calvino nelle pagine di Se una notte d’inverno un viaggiatore. Capita anche con il saggio che queste pagine provano a presentare restando sulla soglia del testo dell’autore, nella zona che Borges definitiva «vestibolo». Proprio Soglie è il titolo adottato da Gerard Genette per un noto studio su quei «dintorni del testo» che hanno diretta responsabilità dell’editore e si sostanziano della materialità da cui non a caso prende avvio l’itinerario di questa Piccola metafisica del libro (di Matteo Bergamaschi, edizioni Effatà).

 cop170Un libro in sé non è semplicemente il testo, che è sempre avvolto dalla forma e dal contenuto del «paratesto», frutto della mediazione editoriale tra autore e lettore. È necessaria perciò una descrizione dell’oggetto fisico esteriore per comprendere meglio l’interiorità del senso. Qui siamo invitati a farlo fin da subito (con un appassionato avvertimento: «il finito è più esplosivo del tritolo») meditando sulla fisicità e sulla finitezza dell’oggetto libro dove risiede il pensiero umano e si può cogliere che «c’è dell’altro», per dirla con Silvano Petrosino. Dalla sua lezione Matteo Bergamaschi prende le mosse nella consapevolezza di un’attualità in cui il senso pare essere «finito», con un riferimento alla riflessione di Nancy che è uno dei molti stimoli assunti, poi registrati in bibliografia, che vanno da Barthes a Derrida, da Levinas a Steiner. Continua a leggere